Berlin 2006
La città che non dorme...
di Linda Salvadori
Berlino è una città complessa, forse lo sono tutte le città, ma Berlino mostra ed esibisce la sua complessità ad ogni angolo.
Me ne sono accorta il primo giorno quando, dall’alto della Torre della televisione dove eravamo saliti per avere un’idea generale della città, scansionavo ogni spicchio di città strizzando gli occhi in cerca di qualcosa che mi orientasse, un epicentro, una suddivisione logica e leggibile degli spazi, un appiglio visivo da cui partire per dare ordine all’immagine confusamente tentacolare che mi stava sotto. Non riuscendoci ad occhio nudo ho aperto la guida, ho guardato la mappa, ho chiesto a Vincenzo se almeno lui capiva dove stava l’inizio e la fine e continuavo a guardare e a cercare: cercavo, neanche troppo inconsciamente, ma con esiti del tutto fallimentari, “qualcosa di antico” o meglio qualcosa di vecchio, qualcosa che insomma potessi identificare come “Il Centro”.
Berlino non ha “ Il Centro”. L’avrebbe in realtà, è Mitte (=Metà, Centro), un enorme Novoli che racchiude il nucleo storico della città, fin dalle origini divisa: l’agglomerato più antico è infatti del duecento, Kölln, mentre Berlino la fecero costruire Giovanni I e Ottone III, a destra della Sprea (il fiume della città). Quindi Berlino nacque doppia. Infatti Mitte non ha per nulla l’aspetto del Centro come lo intendiamo noi: non ha il Duomo (ce l’ha, Berlino divenne protestante nel 1539) ma è logisticamente irrilevante.
Si potrebbe dire che ogni distretto, quelli che per noi sarebbero i quartieri, ha la sua struttura autonoma e, perchè no, il suo proprio centro. Si potrebbe anche sopravvivere in un solo distretto, ad esempio dove stavamo noi, a Friedrichshain, il quartiere più piccolo di Berlino, proprio accanto a Mitte o anche un po’ più a nord, a Prenzlauer Berg, entrambi ad est, entrambi ex distretti operai (i due distretti sono divisi dalla Karl Marx Alee, lo stradone dei casermoni operai), entrambi lanciatissimi in una rinascita che coinvolge soprattutto l’arte, la musica e la qualità della vita.
A prima vista entrambi i distretti hanno un aspetto piuttosto bohemien, brulicano di gallerie, atelier di pittori, modellatori, illustratori, disegnatori di magliette, negozi di dischi, negozi solo di vinili, negozi di soli vinili hip hop. Passeggiare per Boxhagener strasse o Lychener strasse, la quantità di vetrine sfitte con tanto di numero di telefono appeso per sentire subito quanto chiedono per affittarti 80 metriquadri di negozio e bilocale antistante. Oltre a non essere cari, a poterti permettere di vivere in un appartamento “da famiglia” con meno di 500 euro al mese, di spendere 4 euro per 2 birre e poco di più per due panini (scordatevi il caffè quello costa e non lo sanno fare), c’è di bello che ogni sera devi scartare in media 5 o 6 opzioni valide di concerti, eventi e spettacoli perché il cartellone straripa di possibilità interessanti, magari nel tuo distretto, o comunque sia per spostarsi c’è la metro, il treno e l’autobus. Per caso, noi ci siamo visti un concerto di Jimi Tenor.
Tra l’altro: il fine settimana la metro (U-Bahn, invece la S-Bahn è il treno) va ad oltranza fino al mattino e vi assicuro che alle 4 di notte sembra di stare alle 5 del pomeriggio da quanta gente c’è. Niente metro dopo l’una la domenica sera, in compenso c’è sempre il tram e tutto sommato dipende dove sei perché si gira bene anche a piedi.
Tutto sommato sia Friedrichshain che Prenzlauer Berg sono anche molto ripuliti, un po’ modaioli, un po’ da localino dietro l’angolo, quando non c’è un centro culturale disponibile e forse un tantino individualistici. Kreuzberg non è poi così diversa, tempo fa forse era l’immagine del disordine etnico popolata da artisti anarchici, punk e squatters realmente militanti. Quel poco che abbiamo visto, anche la cosiddetta “Little Istambul”, Kottbusser Tor, mi pare tranquilla. Mi sa che molti artisti si sono trasferiti a Mitte o a Prenzlauer Berg, gli studenti stanno a Friedrichshain, i professionisti a Tiergarten o Charlottenburg, cioè ad ovest.
Se comunque ad est tutto è molto più free, con miriadi di manifestini sui muri, graffiti secolari sugli infissi (fuori, ma anche dentro alle case), ci sono ancora esempi di case occupate, o di ex occupanti che si stanno ricomprando la casa (!), ad ovest tutto è molto più tedesco. E Potsdamer Platz ne è l’esempio più calzante: grattacieli, centri commerciali, mega teatri, supermusei, spazi enormi, strade larghissime, luci, vetri, specchi, acciai. Ma bello, però. Tutto molto suggestivo e creativo, certo, la creatività alta: un campionario completo di architettura contemporanea, si devono essere divertiti non poco...
Spesso mi è capitato di vedere degli ibridi, che ti fanno sentire ancora in Europa, ma con un piede (anche uno e mezzo) nel futuro: palazzi ottocenteschi in bugnato e mattoncini rossi che ad un certo punto si trasformano in moduli razionalistici, di vetro e acciaio, mantenendo però lo stesso disegno della facciata. Oppure chiese barocche, che ancora portano i segni del secondo conflitto mondiale, con accanto grattacieli che sembrano sfidarle svettando in altezza e mostrando conformazioni simili. Insomma, un’architettura attiva rispetto a passato e futuro.
Bisogna dire che Berlino ha una serie di contraddizioni ben più strane, ad esempio ex- centri sociali (sono quasi tutti ex-centri sociali quelli nei distretti “centrali”) circondati, se non addirittura intermezzati, da clubbini un po’ pisseri con i quali convivono. Centri sociali che vendono le loro opere a 400 e più euri... Biennali d’arte (quest’anno la curava un italiano, Cattelan) che si inventano di esporre in luoghi pubblici e privati, tipo case, chiese, cimiteri, che però costano 15 euro di biglietto e ti perquisiscono prima di entrare...e magari non propongono nemmeno nulla di ché...comunque, la città va vissuta con più attenzione, 6 giorni non sono affatto sufficienti. Ma ci sarà una prossima, spero molto prossima, esplorazione.
Linda Salvadori